Non sei tu
La vita è
bizzarra, come un’ombra mascherata dai raggi del sole riflette le emozioni,
restituendole alle nostre coscienze. È un mistero, però, il motivo per cui si
attenuano gli ultimi bagliori.
Poco a poco
vedo una persona a me molto cara
perdersi e non la riconosco più, gli sono estranea.
Il suo cervello
smarrisce gli stimoli, le connessioni sono disorientate, i neuroni si
deteriorano.
E mio fratello
non mi riconosce, chissà, nella sua testa è come se gli volasse uno sciame
d’api. Rumori che lo frastornano, a volte urla: forse ha paura.
Ciò che
annienta è restare a guardare, impotenti, questa malattia tremenda, portargli
via la ragione anzitempo, senza concedermi neppure l’illusione di un ultimo
cosciente saluto.
Prima che il buio ti prenda, ma temo sia troppo
tardi, vorrei dedicarti un pensiero. Per me è importante scriverti, dirti
quanto sia stato grande il bene che ti ho voluto, ma non ho mai pensato fosse
rilevante confidarlo a un fratello.
È difficile accettare lo spegnersi dei tuoi pensieri,
della loro luce, che tu sappia confusamente riconoscermi. Mi si spezza il cuore
osservarti così, gli occhi persi nel vuoto, mentre tenti di ripetere il mio
nome.
Sei stato per me un esempio, il mio riferimento, e lo
eri anche per le tue figlie, che hanno avuto il privilegio delle tue attenzioni.
Poi, a un tratto ti sei smarrito sulla strada del ritorno. Nella tua mente è
sceso il buio, ti ha trascinato altrove.
Un luminare, insieme a molti altri specialisti, ha
sentenziato un nome: Alzeimer. E tu non sei più tu.
E vorrei parlarti della nostra infanzia, vissuta
insieme saltuariamente. Dirti del mio entusiasmo quando ci siamo incontrati per
la prima volta, bambini entrambi, confusi, emozionati.
Vorrei dirti quanto ho amato il tuo lato artistico,
il portamento distinto, riservato e disponibile, generoso, sempre. Confidarti,
come non ho mai fatto, quanto sei stato importante per me, unico anello in
grado di collegare le nostre vite di famiglia allargata, fatta di radici
ingarbugliate, sparse, che hanno ostacolato, in qualche modo, la frequenza dei
nostri incontri. Non mi sono mai arresa a queste difficoltà.
La mia ammirazione si perdeva nelle rare ore
trascorse insieme a giocare. Sei sempre stato grande e posato. Vorrei parlarti,
farmi raccontare di te, di nostro padre, porti domande rimaste sospese per
discrezione. Però, mi guardi accennando una smorfia simile a un sorriso e
comprendo che i tuoi occhi vagano altrove.
«Ricordi il mio nome, Roberto?» chiedo, per stimolare
ciò che ti è rimasto della memoria.
E con voce quasi impercettibile inizi a balbettare:
«Ma, ma…No, non so…»
Percepisco un lieve imbarazzo o è solo una mia
impressione, poi ti scivola la caramella dalle mani, hai difficoltà a
trattenere le cose. Fumare ti è stato impedito, potrebbe essere pericoloso,
non riesci a gestire la fiamma e ti sei bruciato più volte gli indumenti. La
cosa ti innervosisce, motivo per cui continui a scartare caramelle, troppe: è
un modo per far passare la giornata.
Per fortuna la tua casa ha un grande giardino dove
passeggi inquieto, chiedendo ogni minuto: «Andiamo, andiamo fuori.» e il tuo
tempo trascorre lento, in qualche modo e ti pesa.
Cosa è successo nella tua mente, non so spiegarlo.
Troppo rapido è stato il declino, e non si arresta, ti sei perso per strada d’improvviso, che
sgomento!
Hanno telefonato a tua moglie, tu non ne sei stato
capace, e ti sono venuti a prendere: non sapevi trovare la via del ritorno. Poi
hai accostato l’auto per chiedere aiuto a qualcuno: per fortuna, poteva finire
peggio.
Si erano già accorti a casa, tua figlia e tua moglie,
che qualcosa era cambiato dentro di te, sei sempre stato taciturno e questo ha
fuorviato le valutazioni. E poi, con quale scusa si sarebbe potuto affrontare
un argomento tanto delicato? Un uomo poco più che sessantenne, sicuramente non
lo avrebbe accettato.
Troppo presto è accaduto. L’intero mondo intorno a te
è crollato. L’azienda, le tue passioni, dipingere per te è diventato
complicato, non riesci a coordinare pennelli e colori.
I tuoi quadri mi hanno sempre entusiasmato e, quando
mi hai regalato quello raffigurante la composizione floreale, mi sono sentita
onorata di poterlo esporre sulle pareti della mia nuova casa.
Il cervello ha subito un black-out, hai perso le
informazioni della memoria, si sono mischiate, confuse, non so spiegarmelo, ma
è successo proprio a te e mi fa male vederti ancora distinto e prestante,
vagare senza consapevolezza, come un bimbo impaurito.
Hai avuto tanto, lo hai ampiamente meritato, sul
lavoro e in famiglia: tutto ti è stato sottratto precocemente.
Mamma non sopporterebbe di vederti così, lei
stravedeva per te e da bambina io ne ero persino gelosa, ignorando che questo
dipendesse dal fatto che non vivevi con noi e non se ne dava pace.
Chissà per quale ragione le raccontavi dei tuoi
successi, poi finivi con questa frase:
«Mi rammarico solo di una lacuna: vorrei essere nato
intelligente.» Non me lo sono mai spiegato. Un presentimento? Percepivi
qualcosa per cui non hai trovato ma risposte?
Spero tu non sia in grado di intendere, me lo auguro
profondamente, è umiliante farsi imboccare al ristorante, lasciar gestire le
tue scelte, farsi guidare la mano, quando non riesci a portare il cibo alla
bocca. Rimediare se ti butti addosso il gelato. Quello non deve mancare mai a
fine pasto.
E, quando tua moglie interviene per aiutarti, hai
come un gesto di stizza. Allora penso “non
è vero che non si rende conto della situazione”. E’straziante per me, ma
non c’è nulla che possa fare.
Vorrei accadesse un miracolo, anche se hai superato
ormai la settantina, che venisse trovato un rimedio per fermare questo
regredire della mente. Magari testando una terapia di nuova generazione con
particolari esercizi al computer. In quel caso potremmo ancora raccontarci di
noi, di quando si era sereni e giocavamo a tirare di boxe con i guantoni di
pelle del nonno.
Invece no, il tempo di dedicarti questi pensieri e
sei precipitato negli abissi della malattia, repentinamente e non me ne
capacito.
Ora non puoi mangiare da solo e ingurgiti solo cose
frullate e bevi l’acqua in gelatina. Non cammini più e indossi il pannolone.
Perché? Un declino così improvviso non lo avevo previsto e, nella stanza della
clinica dove sei ricoverato, risuonano solo i tuoi lamenti quando gli infermieri
ti cambiano.
Mi resta la soddisfazione di portarti in giardino
sulla sedia a rotelle, dove stai scomodo: sei troppo alto e posi i piedi a
terra nel tentativo di alzarti e fuggire da questa prigione.
Una fitta al cuore appena pronunci le uniche parole
che ti riescono chiare: “andiamo” e “casa”.
Il mio amore per te non è sufficiente a migliorare il
tuo stato fisico e psicologico: respiro i tuoi peggioramenti giorno per giorno.
Ora ti arrabbi, urli e non riesco a comprendere le parole nel tuo grido di
disagio, ma appena accosto un bicchiere o un tovagliolo per dissetarti o
ripulirti, socchiudi le labbra e la tua bocca diventa simile a quella di un
neonato, che risolve ogni suo disturbo poppando.
Tu cerchi la caramella, il gelato o qualsiasi
dolcezza sappia concederti un briciolo di piacere, per sopportare la prigionia.
Il tuo volto, allora si trasforma, mostri l’espressione della sofferenza e del
pianto, reciti addirittura un singhiozzo a supplicare un altro attimo di
piacere.
Quanto durerà questa tua agonia? Ora stanno
accertando il tuo stato di salute, e io so quanta altra rabbia e sofferenza
sarai costretto a subire.
Vorrei trovare la soluzione migliore per te, averla
subito a portata di mano, ma la strada della ricerca è lunga e tortuosa e noi
non possiamo che offrirti tutto l’amore possibile, pur consapevoli che non sarà
sufficiente a riportarti anche solo briciolo di serenità.
Qualche giorno fa hanno parlato in tivù di una nuova
sperimentazione. Mi si è subito accesa la speranza di poter recuperare ancora
un po’ di noi insieme ai nostri ricordi. Purtroppo, invece, i nostri contatti
si sono spenti per sempre, insieme alla memoria delle nostre aliene radici.
Improvvisamente, ieri, te ne sei andato. Sei
volato via da questo inferno, te lo leggevo negli occhi, martedì, quando ti ho
visto per l‘ultima volta. Le tue grida strazianti non si spegnevano. Però
percepivo ancora tanta forza nelle tue strette di mano. Mi scuotevi cercando di
farmi capire cosa ti desse tanto dolore. Ormai formulavi solo «Ahia…ahia!» Anche
se dentro il tuo grido io immaginavo volessi dirmi «Portami a casa». Ti sei
consumato nella speranza venisse esaudita la tua richiesta, sei diventato pelle
e ossa in pochi giorni. Non mi è stato possibile accontentarti e adesso non
posso più rimediare.
La situazione è precipitata dopo le mie ultime
carezze e il mo ultimo bacio e alle ansie di chi ti è rimasto accanto sino alla
fine.
Riposati ora, Roberto, vola nei cieli sereni della
pace, raggiungi mamma e papà e tutte le persone che in vita hai amato e ti
hanno voluto bene. Io ti vorrò bene al di là del tempo e della vita, sempre.
La tua sorellona Marisa (come mi chiamavi tu e pochi
altri in famiglia).