Non so
spiegarmi la ragione, a leggere il titolo mi appare l’immagine di quelle figure
nate dal ripiegamento di un foglio carta, che una volta ritagliata dispiegandola
si trasforma in un insieme di persone unite tra loro.
Sembra si
tengano per mano e inizia un girotondo, una danza della fantasia che, in questo
caso, si tinge di azzurro.
In tempi in cui le emozioni pulite e sincere
sono rare, a causa della nostra quotidiana sete di gesti eclatanti, violenti e il
susseguirsi di notizie deprimenti, ho provato un entusiasmo emotivo davvero
travolgente, sicuramente condiviso con migliaia di altre persone, mi sono
sentita in un grande Paese.
Undici uomini in divisa e molto concentrati
si esibiscono cantando l’Inno nazionale: il nostro.
Fratelli, è già sinonimo di unione, ma è la
loro espressione a colpirmi, manifestano una determinazione davvero
impressionante, pare debbano affrontare una battaglia e, in fondo così sarà.
Mi siedo ad ascoltare e li osservo, stanno
tirando fuori tutta la potenza della loro voce, ci credono.
Mi assale una commozione inaspettata, gli
occhi si colmano di lacrime, scendo in campo con loro.
Sugli spalti il tifo è un’esplosione di
colore, l’azzurro. Insieme a volti e parrucche con il tricolore italiano è un
boato di energia positiva, anche loro scendono in campo e, nel corso della
partita, siamo davvero un popolo unito da un unico ideale: la nostra bandiera.
La disputa avviene con una squadra
avversaria, ma quasi non la considero, vedo solo i nostri paladini pronti a
lottare sino all’ultima goccia di sudore.
L’atmosfera é unica e, attraverso lo schermo,
percepisco i battiti dei giocatori, li accompagno.
Non che il calcio sia uno sport che seguo,
salvo le partite più importanti di campionato: in famiglia siamo tutti
Juventini: Torino è una valida motivazione, poi mio fratello giocava negli
Juniores…
Il calcio d’inizio dà il via alla gara e gli
Azzurri partono all’attacco, sono veloci, precisi hanno animo e dimostrano
compattezza di squadra.
Guidati da un allenatore che “vive”
materialmente e moralmente ogni nano secondo della partita, condividendo ogni
stato d’animo dei suoi ragazzi; sono coesi, assemblati come in un puzzle e la
sensazione che ne scaturisce cattura totalmente l’anima.
Piove, l’acqua scroscia in maniera
impressionante, ma loro sembrano diventati idrorepellenti, ovvero il clima non
influisce sulla loro volontà.
Il tecnico inquadra diverse figure, alcune
stravaganti, altre più composte, gli sguardi incollati dentro l’area del campo dove la
difesa la fa da padrone: non ci sono varchi e, il nostro portiere, pare un
guerriero alla carica. Da buon capitano incita, sprona e difende la sua ciurma.
La ripresa del cineoperatore si sposta sulla
moglie dell’allenatore e, a quel punto comprendo cosa rende la partita tanto
differente dalle altre: l’appassionata partecipazione.
Lei, splendida signora, in maglia
rigorosamente azzurra e rispettiva bandiera disegnata sul volto, come il gran
numero dei tifosi, esulta come una ragazzina, ricoprendo di sguardi amorevoli
il marito; appoggia con gli occhi ogni sua decisione e reazione. Insieme a lei
la bambina abbraccia qualcuno e condivide apertamente quei momenti
straordinari.
Ho pensato che fosse lo spettacolo più bello
che mai avrei potuto vedere, capace di trasmettere, in pochi istanti di ripresa,
esempi ormai dimenticati.
Il culmine emotivo è giunto intenso, quando
abbiamo violato la porta dell’avversario con uno splendido goal. Al di là dello
sport, e degli interessi calcistici, un raro esempio di unione di coppia,
manifestato dal nostro “coach” che, esultando, è balzato
sulla tettoia della panchina, per avvicinarsi fisicamente il più possibile alla
famiglia: un gesto d’amore unico e di grande umanità.
In quel preciso istante ho percepito il senso di unione
e l’importanza, a prescindere dalle personali teorie, di sentirsi parte di un
gruppo, sentimento indispensabile per un Paese bisognoso di ritrovare la stessa
simbiosi di quegli istanti, per ricostruire un futuro riscattando l’immagine di
un tempo a questa Italia ormai dimenticata.
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