I professionisti del nulla
“Bisogna mettere
l’asino dove vuole il padrone. ”Così esordiva spesso mia nonna.
Erano alti tempi, però.
Abbiamo superato il primo ventennio del duemila e si sta consumando
rapidamente.
Tanti valori si sono
persi, il mondo cambia vorticosamente, non sempre nel modo migliore.
Parlando di lavoro, sono
state stravolti i risultati raggiunti dalle contestazioni passate, atte a
migliorare la vita dei lavoratori.
Oggi è difficile
trovare una occupazione adeguata alle proprie caratteristiche, ma ancor di più
trovare chi offra un lavoro in regola con le normative ufficiali.
Dopo aver deciso di interrompere gli studi universitari di
Architettura, in seguito alla proposta di un impiego ben remunerato come
progettista d’interni, sono entrato a far parte del mondo lavorativo. E così è
iniziata a mia odissea.
Io, che amavo il disegno sin dalla tenera età, costruendo
castelli con i miei sogni, scalavo le vette più ambiziose. Sarei dovuto essere
più attento. Esagerare nei progetti è pericoloso, si rischiano brutte cadute e
gigantesche delusioni.
Ho accettato quella proposta, infatti, più per la promessa
dello stipendio, al di sopra delle aspettative, che per la mansione da
svolgere, che non conoscevo.
Del resto, avrei dovuto affrontare anni di studio prima di
affermarmi e diventare indipendente: obiettivi troppo lontani.
Detto questo, per maturare esperienza, mi hanno inserito per
un breve tirocinio (ovviamente in nero). presso uno studio di design in centro
a Torino.
Purtroppo, i proprietari, dichiarandosi in momentanea difficoltà,
dopo appena due mesi, mi hanno sospeso il compenso pattuito, pregandomi di
pazientare.
Pazienza che a ulteriori tre mesi di lavoro gratuito, si è
esaurita e, visto il loro totale disinteresse a riguardo, ho risposto all’inserzione
di un mobilificio e, di lì a breve sono stato assunto.
Potevo ritenermi fortunato, la paga era abbastanza regolare,
a parte l’obbligo dei sopralluoghi per il rilevamento misure, da a svolgere a mie
spese.
Avendo maturato una buona manualità nella progettazione a
mano libera e sui programmi specifici, oltre a una maggiore sicurezza
nell’approccio con il cliente, mi è giunta una nuova proposta, presso un centro
cucine dal marchio importante.
Trascorso il primo anno di assunzione, a contratto verbale,
sono stato confermato regolarmente, al minimo sindacale. Un passo a ogni modo
gratificante: clientela distinta, ambiente gradevole e utile a crescere il
livello della mia professionalità. Rilievi misure, unico e solito nodo da
sciogliere.
Il terzo anno lavorativo, volendo evitare di investire un
cane, al rientro da un sopralluogo, ho
perso il controllo dell’auto, subendo seri danni alla vettura. Per fortuna ne
sono uscito incolume, anche se dolorante.
A seguito di ciò, sono susseguiti inutili diverbi e, infine,
ho interrotto i rapporti proprio per il rifiuto del titolare di contribuire,
almeno in parte, ai danni subiti.
«C’eri tu alla guida, io non ne ho colpa.» il suo commento.
Fine della storia.
Da allora, l’occupazione si è trasformata in una sorta di
lotteria. Proposte di contratti rinnovabili ogni sei mesi o licenziamenti
obbligati per difficoltà economiche delle aziende. Ovviamente non parliamo di meritocrazia,
che è stata abolita proprio come concetto, in particolare nel commercio. Comunque
non mi sono mai fermato: ritengo di essere un professionista serio.
Pare che il settore sia un genere gestito da persone abili
nell’aggirare le regole. Vari balzelli per non pagare il dovuto, ma in compenso
molte pretese.
Questo è il premio per un lavoratore esperto che svolge con
passione la sua professione, e crede di costruirsi un futuro, guadagnandosi un
minimo di carriera.
Trascorrono gli anni, nella consueta routine m’imbatto nel
classico colpo di fulmine e pochi mesi dopo mi sposo. La vita di coppia, però, non
funziona: litigi e incomprensioni, la annientano.
Nel frattempo, nelle grandi marchi commerciali sono state
abolite le domeniche e le festività, imponendo ai dipendenti turni estenuanti e
veri sacrifici: impossibile vivere la famiglia, avere una vita propria.
Mia moglie sola, i turni non coincidono, lei a fine
settimana è libera, io no, mai. Così, addio matrimonio.
Ormai si sono persi tutti i valori e mi sono pentito di non
aver proseguito gli studi.
Sono momenti difficili, subentra una sorta di stress, però la
professionalità acquisita è di buon livello. Mi gratifica lo stipendio, sudato,
ma di tutto rispetto, grazie agli incentivi dati dalle provvigioni.
Invece, ecco l’ultimo schiaffo morale: ancora una volta un fallimento.
L’azienda è molto rinomata a livello nazionale, la
liquidazione cospicua, come le provvigioni e gli straordinari accumulati. Conti
che non quadrano, costringono in massa tutti i dipendenti a rivolgersi a un
consulente sindacale.
“Meno male! Recupereremo il dovuto” penso. Già, ma non ho fatto i conti con i sindacati, che tendono piuttosto ad
accomodare, anziché punire l’Azienda in difetto.
Morale, trascorsi più di tre anni, percepisco, suddivise in
rate, meno di un terzo di quanto mi sarebbe spettato. Chi difende i lavoratori?
A quarantacinque anni suonati, mi guardo indietro: non mi
manca nulla. Ho una bella casa, l’automobile, ma cos’ho costruito? Non ho una
famiglia, né figli da crescere, amici con cui uscire, mi manca i tempo e non
posso fare progetti.
Una professionalità maturata da anni di esperienza, ma che
non serve più.
Nel frattempo il mondo del lavoro è cambiato è gestito da multinazionali,
che investono solo nella crescita dei propri interessi. I dipendenti non sono altro
che numeri, robot a disposizione di chi comanda. Un sevizio, il mio che, tuttavia, non viene valutato per quello
che dà, in realtà; forse è apprezzato da qualche cliente soddisfatto, mai una
gratificazione dalla “proprietà”.
Gli stipendi non sono allineati a quelli della comunità
europea, né ai costi della vita attuale: sono rimasti gli stessi di vent’anni
fa.
Amo lavorare, quindi, quasi possedessi una sorta di
percezione sensoriale, Capto un nuovo lavoro, e invio il mio curriculum.
L’ultima alternativa mi viene confermata, in seguito a un
colloquio svolto a parecchi chilometri di distanza. Però, il risultato è
positivo.
E perché no? Tutto sommato, sempre di elementi di arredo si
tratta, anche se le misure e le prospettive fatte manualmente o sui programmi
del computer, non sono determinanti.
L’ambiente sembra gioviale, vivace, c’è tanto da fare, mi
piace proprio per questo.
I clienti si susseguono in modo impressionante, invitati da
pubblicità e dalle offerte allettanti, non c’è nemmeno il tempo di andare in
bagno, si può dire.
Bene, andrà a favore delle provvigioni che maturerò
mensilmente nel corso degli anni.
Comincio a presagire l’atmosfera di un certo regime.
L’intento della proprietà di annullare l’individualità dei dipendenti,
facendoli diventare marionette, o meglio, robot che ripetono a memoria una
lezione. Un professionista vero, come loro stessi pretendono, può sentirsi
gratificato, se gli viene impedito di pensare? Se, durante la trattativa con il
cliente ha l‘obbligo di ripetere frasi che ricordano versi leopardiani e lo
rendono ridicolo? É assolutamente fuori luogo, come pensano di incrementare le
vendite?
Il lavoro è lavoro: “Bisogna mettere l’asino dove vuole il
padrone” . E già, ma era mia nonna a dirlo. Lo so, ma inizio a reagire
nervosamente. Succede anche a molti miei colleghi. I turnover per le domeniche,
vengono aboliti, come le festività.
Le chiusure dell’anno? Natale, Capodanno, Pasqua,
Ferragosto. Nemmeno il primo maggio si resta chiusi. E gli straordinari? Bella
domanda, si fanno e si accantonano, non si possono dichiarare. Al massimo si
recupera qualche ora.
L’azienda, nonostante le grandi dimensioni, non fornisce di
badg i dipendenti.
In compenso di devono motivare i mancati acquisti, visto che
corre l’obbligo di monitorare quanti contatti si fanno in giornata.
Minacciati da ipotetici personaggi misteriosi, sconosciuti finti
clienti, assunti appositamente per controllare i dipendenti, verificare se
ripetono a memoria le fasi legate alla vendita dei singoli modelli. Il
punteggio sarà un fattore determinante: in gioco è il licenziamento.
La mia memoria è elefantesca, come la rapidità con cui
concludo la vendita, sarebbe un vantaggio, ma questo non basta. L’Azienda dovrebbe offrirmi la possibilità di fare un
minimo di carriera, ma non è così. I responsabili non fanno che pretendere
orari infami e se qualcuno si oppone, rinfacciano e minacciano: “Siete pagati puntualmente e anche troppo,
non lamentatevi!”
Il mio domani non ha progetti. La mattina mi alzo col timore
che capiti un altro problema da risolvere che, come spada di Damocle, mi
costringerà ad affrontare una nuova estenuante diatriba. O a piegare il capo,
altrimenti: “Quella è la porta” .
Comprendo adesso che, dopo tanti anni di lavoro impiegati a
imparare tecniche e aggiornamenti, siamo davvero i professionisti del nulla.
Fantasmi, che si aggirano ignorati, utilizzati come macchine per fare gli
interessi altrui e, intanto, la salute psicologica si frantuma.
Questa è l’emancipazione data dalla cosiddetta
globalizzazione dei mercati?
Non si è investito in aziende italiane affinché restassero a
far crescere il Paese. Stiamo diventando la Patria degli sfollati, dei senza
lavoro.
Amo l’Italia, e mi piange il cuore vederla ridotta così;
soprattutto, non vedo la volontà di farla rinascere come meriterebbe. Lasciarla
allo sbando è un sacrilegio, mi sembra di capire che si investa solo dove c’è
un tornaconto importante. Bisogna dare degli esempi e una luce di pace e speranza
vera al domani dei ragazzi: i bambini che futuro avranno? Soprattutto, basta
menzogne e buffonate, occorrono regole salde e qualcuno di affidabile che le
faccia rispettare seriamente.