Una
giornata bislacca.
Ci sono momenti nella
routine quotidiana capaci di mutare all’improvviso e non ti spieghi il motivo,
segui gli eventi impotente, quasi fossi colpito da un virus letale.
Accade davvero: ti svegli un mattino qualsiasi e, tutto intorno a
te sembra grande, gigantesco: o forse come nelle favole, ti sei rimpicciolito?
Affrontare i doveri
giornalieri, gli impegni e il lavoro, sembra diventato difficilissimo.
Eppure, sino al giorno
precedente, tutto pareva filare liscio.
Sì, lo ammetti, un po’
di confusione e di ansia nel gestire le giornate ti tormentavano da tempo,
anzi: ormai era divenuta una patologia cronica.
Tuttavia la passione, e
l’energia li sentivi prepotenti, come la volontà di adempiere agli impegni
presi: chi mai avrebbe pensato di venire travolto da questo gigante che è il
dovere, tanto da restarne sconvolto?Rasenti la follia, ma una via d’uscita c’è…sempre.
È
già mattina. Mi alzo con poca convinzione e cerco di mettere a fuoco le idee.
Forse
una doccia mi riporterebbe alla condizione naturale, potrei recuperare gli
ultimi neuroni rimasti e proseguire.
La
cabina della doccia è diventata una gigantesca stanza con piastrelle in grès
grigio perla e il suo getto è talmente potente, che vengo aggredito da dolori
allucinanti, assurdi.
Voglio
ridurre il volume del getto, ma mi riesce impossibile, non ho la forza
sufficiente: ma che mi succede?
Mi
risciacquo alla svelta pur di uscire dalla zona delle torture, mentre sulla
pelle scivolano via soffici flotte di schiuma viscida.
Il
suo profumo mi stordisce, diventa sempre più persistente, invade l’aria che si
fa pesante, troppo pesante, quasi non connetto.
Respiro
a fatica… mi avvicino alla finestra per dare fiato a quest’improvvisa apnea...
Non riesco a girare la maniglia, è bloccata e tutti i tentativi restano vani.
Torno
indietro lentamente per uscire dal bagno e inciampo nel tappetino di spugna…
“accidenti chi mi vuole così bene oggi?”
Vivo
la caduta al rallentatore, la mia riflessione echeggia nella testa come un
suono rimbombante, non ho padronanza delle mie mosse e batto il capo contro lo
stipite della porta: “che botta!”
esclamo risollevandomi.
Percepisco
che il bernoccolo sta crescendo di volume in perfetta sincronia con il dolore;
sono frastornato e stordito, ma anche furibondo per questa situazione
grottesca.
Un’improvvisa
tosse stizzosa e persistente si aggiunge al mio catastrofico quadro.
Sono
nudo come un verme e tento di rialzarmi; mi appendo alla maniglia dì acciaio
satinato della porta e finalmente sono di nuovo in piedi.
La
mia testa è confusa e vedo annebbiato, ma forse è il vapore acqueo.
Il
getto della doccia continua imperterrito a far defluire acqua e, schizzando
sulla base di ceramica, getta all’esterno quantità di liquido non indifferenti.
Cammino
dentro una sorta di palude grigio piombo.
Ho
i piedi in ammollo, come in una pubblicità:
“splish, splash”: che disastro!
Continuo
a vedere tutto immensamente sproporzionato. La schiuma si è miscelata ai vapori
formando una sorta di pellicola lattiginosa, ma non m’importa, si leverà.
Sento
vibrare il cellulare, non riesco a ricordare dov’è, seguo la suoneria: nooo!
È
in bagno sul davanzale della finestra; troppo rischioso, non voglio cadere
un’altra volta.
Devo
asciugare il pavimento, l’acqua sembra inarrestabile.
Prendo
del ghiaccio e lo metto in un canovaccio, poi direttamente sul punto colpito.
Dolore fastidioso, lo sopporto solo pochi istanti poi, con stizza, lo getto nel
lavandino della cucina: “ma chi se ne frega…”
mi dico.
Il
cellulare suona ancora, non ho la forza di concentrarmi. Decido di non
rispondere.
Afferro
un pentolino dal pensile della cucina: magari una tisana mi rimette in sesto,
accendo
il fornello.
Nello
studio il suono delle notifiche del pc richiama la mia attenzione: eh no, basta!
Che stress, lasciatemi in pace!
“Porca miseria!:
dimenticavo il blog.” Devo leggere un sacco di roba.
Correggere
gli esercizi, scrivere una recensione e rispondere alle mail entro stasera.
Oddio,
non ce la farò mai! Sono distrutto, spossato.
Mi
risveglia dal torpore il suono del campanello: “chi sarà mai?”
Sono
così confuso da aprire senza domandare: è l’inquilina del piano di sotto,
carina.
Mi
guarda incredula e non dice una parola.
Il
punto di domanda resta sospeso per qualche secondo, poi azzardo:
«Dimmi
Sara, hai bisogno?» Lei mi sorride.
«Mi
stai allagando casa…lo sai?» il suo sguardo basito persiste.
«Sì,
scusa, è successo un casino. Adesso asciugo!» prendo strofinacci e quant’altro
possa assorbire liquido e li butto a terra: avrei dovuto agire prima, me ne rendo
conto.
«Aspetta
ti do una mano!» aggiunge la ragazza molto carinamente.
“Aspettavo l’occasione
per invitarla, di certo non in una situazione così.”penso
io.
«
Ale, se metti qualcosa addosso, mi togli dall’imbarazzo.» spiega candidamente
Sara.
“Ecco il motivo dello
sguardo allibito, sono un’imbecille lo ammetto!”
Arrossisco
come un ragazzino al primo bacio e m’infilo l’accappatoio.
«Scusami,
non sai cos’è capitato oggi: che figura! » la osservo, lei è bella, angelica e
mi sorride: “Sto forse sognando ?”
Sara
si avvicina, mi guarda e, senza preavviso, mi regala un bacio dolcissimo.
Ovviamente
dimentico tutto, anche la mia tisana e cedo alla sua dolcezza.
Poi
si alza e mi prende la mano, io fremo, dentro sono tutto un bollore, potrei
esplodere.
A
questo punto penso di essere investito da un improvviso e irrimediabile stato
di follia.
«Vieni,
se scendiamo ti faccio vedere: sul mio soffitto ci sono bolle, bolle ovunque.»
Scendo
trascinato dalla sua mano, morbida e calda, sono scalzo e lascio le impronte
dei piedi bagnati, lungo i gradini, senza rendermene conto.
Sara
apre la porta e, contemporaneamente, un rumore fragoroso fa vibrare il
pavimento sotto di noi, ci guardiamo investiti dal terrore.
«Dimmi
che non è vero Sara!» quasi la supplico con lo sguardo.
«Vorrei,
ma mi sa che è così.» risponde preoccupata.
Sono
rimasto chiuso fuori, lo spostamento d’aria ha causato un altro problema. Mi
arrendo, basta.
La
mano di Sara è l’unica cosa che mi offre la sensazione di essere vivo su questa
terra:
mi
conforta.
Appena
entro in bagno, mi rendo conto che il guaio è consistente, da una delle bolle,
cominciano a precipitare odiose, quanto regolari, goccioline d’acqua.
«Non
mi resta che chiamare i pompieri.» le dico con un filo di voce.
«Aspetta,
telefono al custode: ha le chiavi di riserva, ricordi?» m’informa serafica.
«Finalmente
una buona notizia: chiami tu per favore?» non sono nelle condizioni di
spiegare.
Sara
posiziona un secchio sotto la perdita d’acqua e mi regala un altro bacio, al
volo.
Resto
di pietra e, non fosse stato per il campanello, sarei rimasto così, come una
statua, ancora a lungo.
L’accappatoio
che indosso non mi copre completamente, è slegato e il portiere mi guarda con
l’espressione schifata, quasi fossi un maniaco esibizionista.
Sara
prende le chiavi e, sempre tenendomi per mano, torniamo al mio appartamento.
Il
portinaio ci segue curioso, con l’espressione un po’ libidinosa: la sua
immaginazione credo abbia superato il lecito.
Non
lo ricordavo, però fortunatamente, avevo chiuso l’acqua della doccia, gli
strofinacci avevano assorbito a sufficienza: insomma, il disagio maggiore era
nel bagno di sotto.
«Se
crede vengo su ad asciugare bene.» si propone l’ometto, con l’espressione beota
rivolta verso Sara.
Mi
piazzo davanti, in segno di protezione: il mio primo gesto ragionato.
«Grazie
Gaetano, faccio io, non si preoccupi.» lo rassicuro con tono deciso.
«Signorina
Sara, se ha bisogno mi chiami pure.» insiste l’idiota.
Mentre
lei racimola altri stracci, accompagno gentilmente l’omino focoso alla porta.
«Se
n’è andato?» mi domanda lei, evidentemente si era persa le ultime battute.
«Per
nostra fortuna sì: lo hai visto? Sbavava!» sottolineo infastidito.
Lei
ride, è bella come una melodia di Litz.
Spengo
il gas. Il pentolino era praticamente asciutto, sono arrivato in tempo per
fortuna.
Accendo
la Nespresso.
«Ci
facciamo un caffè?» le propongo.
Sara
porta addosso un profumo che sa di mare e di sole, mi pervade e mi stordisce,
più di quello che è successo nell’ultima ora.
La
faccio mia con gli occhi, non riesco a controllarmi; lei lo intuisce,
arrossisce un po’ e si avvicina.
Questa
volta il bacio ci porta lontano, su altri pianeti la stringo che di più non
potrei.
Un
bacio che resterà tatuato dentro per entrambi, qualunque cosa possa succedere
in futuro.
Al
diavolo il caffè! Lei si lascia andare, freme e la mia follia ha una sapore
differente ora: è fantastica.
Le
carezze si mescolano, l’atmosfera si surriscalda, lasciamo che ci guidi la
passione: è troppo bello, indescrivibile.
«Dlin
dlon, dlin dlon…insiste il campanello della porta.»“ma non voglio rispondere”penso io.
«Alessio
sono io, mamma: mi apri? So che ci sei, me l’ha detto Gaetano!» grida per farsi
sentire.
«Fatti
offrire il caffè da lui allora: io ho da fare!» le rispondo a gran voce dalla
camera.
La
sua risposta svanisce dentro la cadenza accelerata dei nostri palpiti e dei
sospiri.
Mi
barrico nella stanza dei miraggi insieme a Sara: tutto il resto può aspettare.
Nessun commento:
Posta un commento